Per info e adesioni: atenecalabria@gmail.com

Per info e adesioni: atenecalabria@gmail.com
Registrato e pubblicato il 4/01/2011

sabato 26 marzo 2022

L'arte della retorica e la guerra





Il pensiero critico è necessario.

Il dissenso deve essere consentito. 

E quando ci si oppone al dissenso, non per violare un diritto, ma per contestare ciò che si dice o si omette nell'esercizio distorto di quel diritto, non si deve essere condannati o  classificati tra le schiere antidemocratiche. 

Chi parla e vive comodamente nel mondo occidentale (quello sin qui conosciuto); chi ha addirittura il compito di spiegare la geopolitica non può omettere di ricordare che questo si fonda su antiche e recenti guerre totali e su centinaia di accordi che costituiscono un "pacchetto" da tenere in casa propria sin dalla nascita. 
Ci si dimentica, troppo spesso, che arrivare alla pace è dura, ma mantenerla è durissima. E che non solo le armi, ma le troppe parole sbagliate ne compromettono la durata e la qualità. Che è preferibile sognare al momento opportuno. 
Quasi sempre non riusciamo a immaginare di dovere un giorno noi stessi imbracciare un fucile per difendere le nostre città. 
Ammorbidirsi e lasciar correre un evento dopo l'altro, man mano più vicino ai nostri confini "ideali", significa accettare il rischio di un graduale sovvertimento di quel sistema che ci ha allevati, di vedere esplodere quel "pacchetto" in casa nostra. 
E se si accetta, sia pure tacitamente, nei nostri discorsi quel rischio, lo si fa in nome di cosa? 
Per esempio, chi governa oggi la Russia potrebbe essere un paladino garante di un eventuale nuovo assetto, di un nuovo mondo? 
Ma, in fondo, questo nuovo mondo cambierebbe la qualità delle nostre vite, migliorerebbe i rapporti tra le nazioni? Solleverebbe dalla fame nera milioni di persone?  
Non sembra, allora, che molti provino solo gusto a esercitare la retorica, antica, di un dissenso astratto, giusto per mantenere vivo il dibattito? 
E quanto siamo capaci e cosa sappiamo fare, cosa abbiamo fatto per migliorare il nostro mondo in tempo di pace? 
Saremmo in grado di stravolgere pacificamente i valori e i principi economici su cui si basa l'Occidente?  
Le guerre si fanno per fame (fisica e morale, di diritti), avidità o follia; talvolta per paura. 
Siamo almeno in grado di capire quest'ultima in quale categoria rientra? 
In modo da sapere come meglio definire la pace? 
E poi che si fa? Si aspetta che  finisca da sé? 
E se gli americani non volessero più intervenire? 
E se da spettacolo una guerra diventasse necessità stringente dalle nostre parti? 
E se gli ucraini non volessero cedere fino all'ultimo uomo all'impiedi nei loro territori? 
E se lo stesso destino dovesse toccare a tante piccole e giovani repubbliche europee, prima o poi? 
Ecco, alcuni  analisti sanno immaginare e spiegare i principi, ma a certe piccole domande urgenti mi pare non sappiano dare risposte credibili. 
Non ho fatto altro che aderire alle battaglie retoriche degli ultimi giorni, forse. 
Magari credo, come tanti ancora, che i dibattiti e lo scambio aperto di opinioni aiutino i governi a decidere al meglio. 
Illusioni o meno, aggiungo soltanto l'augurio che competenza, serietà e verità guidino i protagonisti e gli analisti pro-tempore del nostro destino di cittadini del mondo.    

Michele Arnoni 



Nessun commento:

Posta un commento