Per info e adesioni: atenecalabria@gmail.com

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Registrato e pubblicato il 4/01/2011

venerdì 24 giugno 2022

SUD E RISORGIMENTO : Cosenza ne discute



".. Che fia? per la Penisola
Che avvien? Che l'ha commossa?
Forse è il non domo Austriaco 
Tornato alla riscossa?
O Dio che del suo popolo 
Il duro giogo indegno, 
Di Babilonia il regno, 
Sperde nel suo furor? -

Tale speranza gli ospiti 
Di Roma infiamma, intanto 
Che l'italiano Tevere 
Eco si fa del pianto
De' suoi fratelli, e queruli, 
Qual per comune lutto, 
Volgono al mare il flutto
L'Arno, il Sebeto e il Po.

E tal compianto, o povero
Mio Crati, al tuo risponde, 
Or che le sante ceneri 
Muovon da queste sponde :
Dove col blando murmure
Festi conforto, quando 
Per vivere nefando , 
Ogni altro lor mancò..."

Questo brano, tratto da una ODE (forse sconosciuta a Cosenza) del nostro conterraneo BONAVENTURA ZUMBINI e  pubblicata in occasione del trasferimento a Venezia dei resti mortali dei fratelli Bandiera e Domenico Moro (11 giugno 1867),   comunica  l'intenso e accorato anelito di libertà che aveva mosso tanti giovani calabresi verso  movimenti repubblicani  liberali nazionali. 

Zumbini si fa conoscere a Cosenza poco dopo l'Unità d'Italia, pubblicando il giornale "Il Calabrese" e collaborando con altri giornali; autodidatta, colpito da una malattia che ne limiterà i movimenti ma non l'intelletto, diventerà uno dei critici letterari, saggisti e  accademici più stimati del Mezzogiorno. Uno dei fari dell'Accademia Cosentina e di altri prestigiosi presidi culturali. Dal 1905 fu senatore del regno. Aveva incontrato da ragazzo Francesco De Sanctis e approfondito le opere di Luigi Settembrini, aveva creduto nell'unificazione e sulla sua persona ha forse sperimentato la necessità di apertura culturale nazionale. Uno dei tanti e dei troppi forse dimenticati, insieme, ad esempio, ai tanti insorti e rivoluzionari del 1848, condannati a morte o messi in galera dal regime borbonico. 

Bonaventura Zumbini
  
La fucilazione dei Fratelli Bandiera nel 1844


Nel riassumere brevemente tutti gli spunti di riflessione venuti fuori del nostro incontro dello scorso 22 giugno (Risorgimento senza Sud o Sud senza memoria?) non possiamo che avvicinarci con umiltà alla grandezza di un tema di rilevanza storica che ancora nutre gli interpreti del crescente divario economico e sociale interno al nostro Paese. L'attualità connessa alla storia pertanto genera molteplici occasioni di riflessione che la nostra associazione trasformerà in incontri pubblici.






Nella fresca protezione della Sala Capitolare del Complesso di San Domenico, è Saverio Paletta che infiamma subito il dibattito, partendo dalle discussioni sull'Unità d'Italia degli ultimi anni, alimentate dalla notevole diffusione di alcuni scritti sui fenomeni più tragici per il Mezzogiorno "riunito" al Regno dei Savoia. Brigantaggio ed eccidi, finanze depredate, sviluppo compromesso in modo irreversibile, inferiorità sociale e culturale imposti da una Unità nazionale frutto di pura e semplice strategia militare. Il giornalista cosentino si concentra su  alcuni terribili fatti di quegli anni (1861-1865), raccontati in pubblicazioni di recente successo editoriale, che in diversi suoi articoli aveva provveduto con rigore scientifico a sgonfiare e ridimensionare, senza per questo evitare forti polemiche con gli autori di quei libri. Paletta è chiaro:  l'esaltazione di notizie e fatti messi insieme senza un corretto utilizzo di fonti archivistiche ufficiali ha deviato l'opinione pubblica su aspetti alla fine marginali, rispetto all'importanza complessiva della nascita del Regno d'Italia e quindi di una unità nazionale, i cui benefici del lungo periodo sono stati maggiori rispetto ai sacrifici. Che ci sia stata un forma di guerra civile è fatto che comunque tutti danno per acquisito alla storia.




L'evoluzione del "terronismo" e del razzismo antimeridionale è stata indotta anche da quelle pubblicazioni volte alle vendite più che alla qualità degli scritti - ha poi proseguito Giancarlo Costabile - così contribuendo alla diffusione di visioni ancor più pessimistiche e negative per il Sud. Ma per il docente Unical -  impegnato nella pedagogia dell'antimafia, attivo con Libera di don Ciotti -  è chiaro che il Risorgimento, quale insieme di vicende non incentrate sulla partecipazione rivoluzionaria concreta delle masse popolari e contadine, non ha realizzato quella liberazione effettiva dai poteri di tipo feudale che i Borbone avevano tutto sommato tenuto in vita.  Anzi, partendo dalle considerazioni di Gramsci, Costabile dice chiaramente che la congiunzione delle élites del Nord con quelle locali, ha avuto bisogno - per questione di ordine e tenuta delle istituzioni - dell'apporto di tutti quei gruppi non troppo diversi dalle moderne mafie. 

Il rischio di una mancanza di riferimenti culturali locali, ha poi rilevato Luciana De Rose, ci fa perdere anche di vista l'esigenza di connettere il nostro territorio ai contesti nazionali e internazionali. L'antichista e storica dell'Unical cita alcuni saggi sui viaggiatori dell'Ottocento e gli scritti di autori che descrivevano con meraviglia e stupore la bellezza e la purezza della Calabria. 

Nello spirito voluto dall'associazione, per la costruzione di momenti di condivisione e riflessione che rappresentino dei veri momenti culturali, continua a essere fondamentale la partecipazione attiva del pubblico. Così è stato, con gli interventi di Mario Perfetti, Primario di Patologia Clinica, studioso del Regno delle Due Sicilie, storico e scrittore e  Fedele Sirianni, ferroviere di lungo corso e tradizione, studioso e storico delle Ferrovie, scrittore; entrambi portatori di quella voce critica e non rassicurante sulla effettiva importanza del Risorgimento. Mario Perfetti ha insisto sul rigore delle fonti e sulla necessità di comparare il prima e il dopo l'Unità, proprio per comprendere quanto il Sud abbia perduto. Per Fedele Sirianni la questione è poco da discutere: il Risorgimento per il Mezzogiorno non si è mai realizzato, a partire dalla dotazione di tratti di ferrovia.

Nelle conclusioni di Michele Arnoni una domanda: Il Risorgimento e l'unificazione nazionale sono compiuti? E' possibile ad esempio considerare Giovanni Falcone come uno degli ultimi martiri nazionali?  Un precursore del necessario sviluppo del Sud quanto a libertà e legalità? Mentre a livello europeo, quanto può essere oggi importante favorire unificazione e non divisioni e chiusure? Domande aperte anche per il prosieguo nei prossimi incontri...




Il nostro pomeriggio culturale ha goduto della partecipazione di Flavia Salvagnoni, studente undicenne di violino al Conservatorio di Cosenza: tre brani eseguiti in modo eccellente hanno in momenti diversi addolcito la discussione e reso più piacevole lo stare insieme. La giovane musicista è figlia di Beppe Salvagnoni,  progettista grafico,tra i fondatori della nostra associazione e autore delle nostre locandine.


Alcuni dei presenti con i relatori del convegno 






venerdì 17 giugno 2022

Risorgimento : una ferita ancora aperta?

Se l'attualità politica, sociale e culturale appare da diverso tempo indecifrabile e priva di prospettive, anche sui fatti storici più importanti si riversano inquietudini, contrapposizioni, lotte ideologiche. Fino a  rendere quasi  impossibile una discussione serena e obiettiva.

Uno dei paradossi della modernità è proprio quello dell'attualità che condiziona la storia.

Viviamo da qualche anno un dibattito a tratti feroce, tra storici e meno storici, sul significato del Risorgimento e dell'unificazione nazionale per la storia della Calabria e del Mezzogiorno.

La cosa certa è che  quegli eventi non furono una passeggiata romantica né un gioco a tavolino per pochi eletti. Ci furono strategie politiche raffinate ma anche sangue e sofferenza, ideali e speranze sul campo, tradimenti e sacrifici.

Una fase così delicata della storia italiana è stata forse raccontata a prescindere da noi? Calabresi e meridionali semplici vittime e spettatori di processi fondamentali ? E questa modalità si è ripetuta e continua a ripetersi quanto a processi politici ed economici ?

Gli illustri ospiti del nostro prossimo incontro rappresentano uno spaccato di settori cruciali per la formazione e la maturazione di spirito critico: quanto siamo capaci di raccontare, insegnare e trasmettere valori ai più giovani ?

Un primo incontro, quello del prossimo 22 giugno, che vuole quindi (ri)aprire a Cosenza un dibattito e lasciare una traccia nella  coscienza e nella memoria locali, con un invito a chi proprio non vuole rassegnarsi a cancellare radici e identità, di non abbandonare il campo a sterili polemiche e manipolazioni strumentali. 

Con l'obiettivo di  proseguire la trattazione di questi temi in altri incontri, con la partecipazione di giovani e studenti.  

Come nel nostro passato associativo, anche il valore della musica sarà messo in risalto, con alcuni brani interpretati dalla giovanissima violinista Flavia Salvagnoni.





sabato 26 marzo 2022

L'arte della retorica e la guerra





Il pensiero critico è necessario.

Il dissenso deve essere consentito. 

E quando ci si oppone al dissenso, non per violare un diritto, ma per contestare ciò che si dice o si omette nell'esercizio distorto di quel diritto, non si deve essere condannati o  classificati tra le schiere antidemocratiche. 

Chi parla e vive comodamente nel mondo occidentale (quello sin qui conosciuto); chi ha addirittura il compito di spiegare la geopolitica non può omettere di ricordare che questo si fonda su antiche e recenti guerre totali e su centinaia di accordi che costituiscono un "pacchetto" da tenere in casa propria sin dalla nascita. 
Ci si dimentica, troppo spesso, che arrivare alla pace è dura, ma mantenerla è durissima. E che non solo le armi, ma le troppe parole sbagliate ne compromettono la durata e la qualità. Che è preferibile sognare al momento opportuno. 
Quasi sempre non riusciamo a immaginare di dovere un giorno noi stessi imbracciare un fucile per difendere le nostre città. 
Ammorbidirsi e lasciar correre un evento dopo l'altro, man mano più vicino ai nostri confini "ideali", significa accettare il rischio di un graduale sovvertimento di quel sistema che ci ha allevati, di vedere esplodere quel "pacchetto" in casa nostra. 
E se si accetta, sia pure tacitamente, nei nostri discorsi quel rischio, lo si fa in nome di cosa? 
Per esempio, chi governa oggi la Russia potrebbe essere un paladino garante di un eventuale nuovo assetto, di un nuovo mondo? 
Ma, in fondo, questo nuovo mondo cambierebbe la qualità delle nostre vite, migliorerebbe i rapporti tra le nazioni? Solleverebbe dalla fame nera milioni di persone?  
Non sembra, allora, che molti provino solo gusto a esercitare la retorica, antica, di un dissenso astratto, giusto per mantenere vivo il dibattito? 
E quanto siamo capaci e cosa sappiamo fare, cosa abbiamo fatto per migliorare il nostro mondo in tempo di pace? 
Saremmo in grado di stravolgere pacificamente i valori e i principi economici su cui si basa l'Occidente?  
Le guerre si fanno per fame (fisica e morale, di diritti), avidità o follia; talvolta per paura. 
Siamo almeno in grado di capire quest'ultima in quale categoria rientra? 
In modo da sapere come meglio definire la pace? 
E poi che si fa? Si aspetta che  finisca da sé? 
E se gli americani non volessero più intervenire? 
E se da spettacolo una guerra diventasse necessità stringente dalle nostre parti? 
E se gli ucraini non volessero cedere fino all'ultimo uomo all'impiedi nei loro territori? 
E se lo stesso destino dovesse toccare a tante piccole e giovani repubbliche europee, prima o poi? 
Ecco, alcuni  analisti sanno immaginare e spiegare i principi, ma a certe piccole domande urgenti mi pare non sappiano dare risposte credibili. 
Non ho fatto altro che aderire alle battaglie retoriche degli ultimi giorni, forse. 
Magari credo, come tanti ancora, che i dibattiti e lo scambio aperto di opinioni aiutino i governi a decidere al meglio. 
Illusioni o meno, aggiungo soltanto l'augurio che competenza, serietà e verità guidino i protagonisti e gli analisti pro-tempore del nostro destino di cittadini del mondo.    

Michele Arnoni 



sabato 19 marzo 2022

PER UNA CITTA' VERAMENTE GREEN





L'evoluzione storica dello spazio verde diventa filo conduttore con il quale è descritta la storia stessa delle città. Per cui possiamo ammettere che sussiste o dovrebbe sussistere un legame imprescindibile tra città e il suo verde. Quel verde urbano che è uno degli elementi principali volti miglioramento della qualità di vita dei cittadini, essendo di fondamentale importanza nel quadro della generale sostenibilità.   La gestione di questa importante componente naturale, sempre più sentita, cresce in proporzione al cambiamento delle abitudini,  protratte e predisposte verso stili di vita di qualità e benessere capaci di influire su tutte le fasce di popolazione, attraverso esperienze dirette vissute nella propria città.

Se consideriamo i metri quadrati di verde urbano disponibili per ogni cittadino, nei capoluoghi di provincia Italiani (elaborazione openpolis su dati Istat) si scopre: Matera 990,47 metri quadrati per abitante, al primo posto, seguita da Trento (399,61 mq), Sondrio (316,94 mq) e Potenza (190,95 mq). I capoluoghi con meno disponibilità di verde urbano sono le città calabresi con Crotone all'ultimo posto con solo 3,46 metri quadrati per abitante.

Lo sviluppo del verde urbano è regolamentato dalla legge 10/2013, normativa che prevede per lo Stato un ruolo di monitoraggio e pianificazione a livello nazionale, mentre a Regioni, Province e Comuni affida funzioni più operative di pianificazione. Il verde pubblico è fattore non sopprimibile nella gestione dei piani urbanistici.
I Comuni devono pertanto destinare una parte del loro bilancio alla manutenzione del verde urbano: spesa inclusa nella voce di "tutela, valorizzazione e recupero ambientale".
A tal proposito, sarebbe interessante vedere cosa dicono i bilanci sulla spesa del Comune per  la valorizzazione e  il recupero del verde. In diverse occasioni sembra che si insista con pratiche topiarie completamente fuori controllo e prive di ratio, che vanno nella direzione diametralmente opposta alle succitate finalità, confermando i dati ISTAT non solo sulla quantità del verde pro capite, ma anche sulla qualità.
Cosenza, con il suo sviluppo urbanistico, ha sempre dimostrato in passato una certa sensibilità verso il verde pubblico, inteso principalmente come corredo urbano. Un po' meno la cultura verso parchi e giardini propriamente detti, trend che ha avuto un timido cambio di rotta in tempi più recenti, ma ben lontano da altre realtà simili.  Comunque si è sempre potuto godere, con un certo orgoglio, della gradevolezza di vie e viali alberati, dove le policromie delle chiome hanno regalato gradevolezza al passeggio all'ombra delle fronde, oltre a piacevoli giochi di colori e contrasti, non casuali, mirati e caratterizzanti i quartieri.  
Cosa sarebbe via Roma senza i suoi Lecci? Oppure, le limitrofe traverse contraddistinte dal rosa delle chiome fiorite del Prunus di via Parisio e via Palatucci , o Corso Luigi Fera, che anticipano temerarie l'arrivo della primavera, regalando, poi, un rosso intenso ? Cosa dire dei colorati fiori degli Oleandri di via Rodotà e via Simonetta, o i colorati Solanum di via Isonzo, il verde variegato dei Ligustrum di via Medaglie D'oro,  i profumati tigli di via Alimena, o le Palme della scalinata di via Calabria?  Ciò ad attestazione di quanto l'architettura si sposi, completandosi con il dono, l'eleganza delle alberature, che deve sfuggire alla sola pragmaticità in termini di utilità. 
La loro importanza diventa innegabile e accreditata, esemplificandosi nelle proprietà ad esse attribuite nel ridurre di un grado e mezzo la temperatura esterna nelle calde giornate estive. Da ciò, in passato, la ratio di utilizzare nei luoghi interessati da climi caldi, piante che proteggono dalle calure estive, lasciando passare i raggi solari nel periodo invernale.
La nostra città attraversa un momento buio per quanto concerne la gestione del patrimonio verde e dell'ambiente in generale. 
Una perenne cantieristica - quella che definisco "eterno non finito" e del "tutto in divenire" - con  l'affidamento di tale gerenza a Cooperative che in sostanza operano in autogestione, prive di linee guida, forse nell'assoluta mancanza di competenze dedicate al patrimonio ambientale.
 Con tutto il rispetto per il lavoro di chi viene destinato dai rispettivi uffici pubblici, le capitozzature, che in sostanza permettono di potare un albero in circa mezz'ora con personale poco qualificato, (una potatura può richiedere 2-3 ore per albero ), sono concausa del depauperamento dell'alberatura, provocandone, in alcune strade, la quasi totale scomparsa, oltre al desolante scenario, molto lontano dagli scopi che tali operazioni si prefiggono come finalità:  decoro urbano, tutela del patrimonio verde, sostenibilità.
Se a questo uniamo l'incuria generalizzata, nonché la subcultura che aleggia, responsabile dei fenomeni di deturpazione a carico di alberi "colpevoli" di coprire insegne e vetrine con le chiome, resta la "catacresi". 
I marciapiedi con i vuoti e tronchi secchi sono lasciati decomporre alle intemperie come metafora della caducità del tempo.
Come si è potuto arrivare a tutto ciò? Quale il legame tra passato e il presente? Quale il futuro in questa città?
Forse agli occhi di un profano un "misero"  alberello non sembrerebbe potato male, tali descrizioni potrebbero risultare faziose, ma in realtà troncando i suoi rami, chi ha eseguito tale pratica, non ha avuto la minima idea di cosa potesse essere una potatura di ritorno e cosa significhi rapportare la chioma rispettando la tipicità radicolare dell'albero. Alberi d'alto fusto mozzati delle branche laterali senza alcun rispetto della pianta sono veri e propri danni, gravi, inferti. L'esigenza di dare "luce" a vetrine, far lavorare, dipendenti a prescindere, optando per queste inopportune metodiche e non appellandosi ad un criterio professionale, ha sedimentato un modus operandi che non stimola la logica lasciando danni visibili nella città.
Occorre promuovere maggiore sensibilità verso i nostri parchi e le aree dove sopravvivono anche minime isole verdi: un solo albero ben tenuto può qualificare un intero quartiere.
E' necessario che l'amministrazione comunale si avvalga, in materie delicate come quella del verde pubblico, di competenze specifiche e qualificate, anche in partenariato con altri enti pubblici.

Piero Dramisino 

direttivo L'Atene della Calabria