Correva l'anno 1799, il 20 agosto.
In una gremita piazza del Mercato, in Napoli, si dava esecuzione alla condanna a morte di Eleonora de Fonseca Pimentel, personaggio chiave della breve quanto importante esperienza della Repubblica napoletana. Vale la pena di ricordare quella figura per motivi diversi, in particolar modo per il suo essere raro (e forse unico) esempio di giornalista donna con ruolo da protagonista, in un Sud da secoli spento per mano di monarchie assolutistiche e regimi feudali. Fondatrice e praticamente unica compilatrice del "Monitore napoletano", organo di stampa del periodo della rivoluzione del 1799, riuscì con disinvoltura a trattare tutti gli scottanti temi dell'epoca, tutte le necessità di un rinnovamento politico all'insegna delle libertà costituzionali.
Si trattava del primo foglio politico merdionale, che si rifaceva alle esperienze da poco avviate da altri intellettuali e patrioti attivi nelle repubbliche cisalpine (tra cui il cosentino Francesco Saverio Salfi, direttore de il "Termometro politico della Lombardia" ).
Appassionata e fervente osservatrice delle cose del suo popolo, ispirata dai temi della libertà e della repubblica, Eleonora portò avanti il suo giornale nei convulsi mesi della breve esperienza repubblicana, finchè la sua stessa passione le costò la vita. “ Non distrazioni, non discorsi di letteratura o astratte discettazioni. Il Monitore va rapido e diritto, tutto assorto nelle questioni essenziali ed esistenziali che si affollarono in quei pochi mesi, i quali per intensità di vita valsero parecchi anni", ricorda Benedetto Croce.
Vale un ricordo - quella figura di letterata, intellettuale e patriota - anche nel 150° dell'Unità nazionale, perchè innegabile, e da poco storicamente rivalutato, fu il ruolo di quel febbrile esempio italiano di incontro fra patrioti, artisti, letterati, studenti universitari e aristocratici di tutta la Penisola, che guardarono con ardore e tanto sperarono nell'esempio di Napoli.
A Napoli ci si ritrovava nel dare vita spirituale e morale ad un concetto di patria rivolto ad un'Italia una e indivisibile. Esempio poi capace, per la risonanza che ebbe, di colpire mortalmente gli assolutismi o comunque di favorire ovunque riforme costituzionali, per l'attivismo dei patrioti che sfuggirono alla repressione seguita alla capitolazione.
Soltanto pochi mesi di vita repubblicana, che però segnarono la frattura indelebile e la macroscopica divergenza d'intenti tra la migliore classe d'intellettuali meridionali e il potere governativo.
Frattura che forse si fa avvertire in una modernità sempre più spenta e ripiegata su se stessa. La repressione, al ritorno dei borboni, fu spietata: la classe colta meridionale fu impiccata, si disse. Mentre il legame tra potere monarchico e plebe, "popolo basso" e lazzari, caratterizzò gli anni a venire, contaminando non poco il concetto che al Nord si ebbe di "masse" merdionali, tra brigantume legalizzato e "realista" e brigantaggio fuorilegge.
Fu uno dei momenti che più gravemente ha segnato la nostra storia, marcandola nella famigerata "questione merdionale".
Quel 20 agosto, nel culmine della repressione seguita al ritorno del re borbone, i patrioti della Repubblica napoletana venivano cercati, inseguiti, stanati e giustiziati a migliaia: fu uno dei giorni più macambri, tra i mesi che seguirono fatti di vendetta e di orrori. Furono impiccati diversi repubblicani calabresi (tra cui il cosentino Domenico Bisceglia, avvocato e membro del governo provvisorio della Repubblica); e molti calabresi si distinsero per il furore della reazione, per l'adesione alla "cristianissima armata" messa al seguito del "cardinale" Fabrizio Ruffo (di San Lucido), fedele servitore del re Ferdinando.
Eleonora, la rivoluzionaria, la giornalista, la martire, fu lasciata penzolare dalla forca per un giorno intero, svestita, esposta al pubblico ludibrio. La sua casa, in Salita Sant'Anna di Palazzo, 29, una traversa di Via Chiaia, fu la sede del Monitore napoletano : soltanto nel 1999 il Comune di Napoli vi appose una targa alla memoria.
Cosenza ebbe piantato il suo albero della libertà (simbolo dei repubblicani) di fronte il Palazzo Arnone, dove poi gli stessi patrioti cosentini furono giustiziati.
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