La situazione del campo Rom sulla sponda del Crati, insediamento non autorizzato nè regolarizzato, è da diversi anni distratta dalle dovute attenzioni e cautele da parte del Comune e della Provincia di Cosenza. Ci risulta che le condizioni di vita dei numerosi bambini e delle famiglie più numerose, a parte il pregevole contributo di alcune associazioni poco ascoltate, non siano, nei fatti, migliorate. Parlare di scolarizzazione dei bambini, ovviamente, non risolve che in piccola parte il degrado e le pessime condizioni ambientali che tutti sembriamo tollerare. E' lecito chiedersi, allora, se le amministrazioni in carica siano capaci di risolvere o effettuare inverventi concreti su questa "ferita aperta", composta da 360 anime, oppure se non sia il caso di inserire concretamente nei programmi politici di chi pensa solo alla propria candidatura proposte sostenibili e ipotesi di progetto credibili. Intanto, si permette che a pochi metri dal "mondo civile" si viva al limite dell'umana sopportazione, si ignora che proprio da lì si potrebbe iniziare a risanare, ad integrare. Li' si comincia a fare cultura,(si invogliano queste persone a capire che sono visti come uomini,non come oggetti), lì si inizia a fare sicurezza (si evita che la disperazione prenda il sopravvento), lì si iniziano a tratteggiare i contorni di quella "città europea" che nei fatti è solo uno slogan da quasi 10 anni. I ROM sono stati sempre al centro di progetti, proposte, interventi. Solo cartacei però, nessuno di chi ne ha parlato era nella sede dell'associazione Stella Cometa a servire pasti e vestiti. Nessuno di chi ha promesso, al solito ha mantenuto. Si aspetta e ci si indigna al prossimo fatto di cronaca. In fondo il rapporto che il sopracitato "mondo civile" hai coi rom è quello che si ha con queste anime perse ai semafori. Non vorremmo che qualcuno offendesse i propri nobili occhi alla vista di quella realtà. Che insieme al MAB ed al cosenza calcio, insieme ai caffè culturali ed ai capidanno, fa parte della nostra città. Da Comune e Provincia, in questi anni, abbiamo poco percepito la capacità di utilizzare e canalizzare al meglio i fondi comunitari, nonostante alcuni specifici progetti della UE avrebbero consentito, ad esempio, una bonifica dell'area, una messa in sicurezza e l'acquisto di roulotte provvisoriamente occupabili dalle famiglie in più gravi condizioni. Alcuni progetti sono stati invece ben finanziati dal Comune di Cosenza, per cui è altresì lecito verificare se i risultati ottenuti vadano oltre la funzione di semplice palliativo. Ogni discorso sull'integrazione, sulla paventata ghettizzazione, sugli interventi della Procura, risulta, ormai da lungo tempo, infruttuoso
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Per info e adesioni: atenecalabria@gmail.com

Registrato e pubblicato il 4/01/2011
giovedì 17 febbraio 2011
mercoledì 16 febbraio 2011
IL MAESTOSO CASTELLO SVEVO DI COSENZA: Vigilare sui lavori in corso
Dopo gli incontri del circolo culturale Re Alarico e le nostre ripetute segnalazioni sullo stato in cui versano il centro storico di Cosenza ed alcune sue istituzioni culturali (biblioteca civica, ex ricovero Umberto I, piazzetta Toscano), si susseguono incontri di diverse associazioni che mirano ad un recupero e aduna valorizzazione di qualità della parte antica della città. Abbiamo partecipato ad un incontro organizzato dal laboratorio culturale "Cosenza che vive", incentrato sul Castello Svevo, l'antico manufatto che domina il capoluogo da oltre due millenni. Molti gli spunti offerti dall'incontro del laboratorio culturale che da anni opera nel centro storico. C'è un progetto di restauro e valorizzazione,approvato e sponsorizzato dalla giunta comunale nel 2007,che stiamo esaminando tra le carte comunali,su cui,nell'incontro di ieri (15/2) ci si è soffermati, per evidenziarne alcune particolarità esecutive, per esempio la previsione di strutture in acciaio, la realizzazione di un ascensore, la copertura in ferro e vetro di grandi saloni. Sono emersi alcuni dubbi sulla valenza del progetto e sull'andamento dei lavori (appaltati alla Cooperativa Archeologica di Firenze, con ultimazione prevista nel giugno 2011), soprattutto perche' appaiono finalizzati ad un reimpiego della struttura e ad una funzionalizzazione avvenieristica, impropria per Cosenza e inadeguata alla importanza del monumento. Chiediamo a tutti i cittadini di buona volontà e alle associazioni piu' attive di procedere con una campagna di sensibilizzazione e di monitoraggio dello stato dell'arte. Noi ci saremo.
LA STRUTTURA DEL CASTELLO E LA SUA STORIA (brano tratto da una relazione della dott.ssa Francesca Cannataro, giornalista ed esperta in conservazione di beni culturali, che ha partecipato all'incontro citato)
)
Sito sulla sommità del colle Pancrazio il castello domina imperturbato da secoli la confluenza del Crati con il Busento e tutto l’abitato cittadino da una meravigliosa posizione. Non chiara è l’origine del primo nucleo difensivo della città. Il fatto che fu costruito sulle rovine di una rocca romana ubicata in cima al colle Pancrazio è probabile, se non altro tenendo in considerazione che in ogni epoca la posizione strategica del sito deve aver suggerito di erigere lassù un fortilizio. Va in oltre tenuta presente l’esistenza in loco di alcuni ruderi di fattura romana anche se non si sa se in quest’ultimi, incorporati nella fabbrica di età posteriore, possano riconoscersi i resti della Rocca Bretica, costruita a difesa della città. Pur volendo ammettere che nulla resta dell’antica rocca costruita dai bruzi prima di lasciarsi dominare dai romani, non si può non tenere in considerazione l’esistenza di un’epigrafe trovata nei pressi del monastero delle “Cappuccinelle”, che sorge proprio sulla via del castello, che ricordava Valerio Flacco come primo restauratore del castello. Da quest’attestazione epigrafica si potrebbe arrivare alla conclusione che la rocca bretica fu restaurata dai vincitori latini, ad avvalorare la tesi di questa remota origine del castello è il pozzo presumibilmente romano che si trova in un andito nel primo piano del castello. La rocca fu poi distrutta e rasa al suolo dai saraceni, che misero a ferro e a fuoco la città per ben tre volte I lavori per la ricostruzione di una struttura fortificata iniziarono, secondo alcuni, nel 937 d.C., quando cioè “ i cosentini avevano preso atto della necessità di edificare un fortilizio a presidio dell’incolumità cittadina”, e lo riedificarono sulle rovine della fortezza, o quanto meno riutilizzandone i materiali , secondo altri nel 975 d. C, allorché i saraceni moltiplicarono le loro scorrerie. Sicuramente fu un’opera ben munita dal momento che il saraceno Saati Cayti nel 1009 non solo ne fece la sua dimora, ma ne continuò anche l’opera di costruzione. In ogni caso è pressoché impossibile riconoscere la forma e le strutture originali dell’edificio e l’ubicazione esatta della struttura fortificata nei secoli IX e immediatamente successivi, sia a causa dei rimaneggiamenti subiti dal fortilizio, sia per una sostanziale mancanza di fonti documentarie. L’ombra di notizie che avvolge il castello sembra man mano diradarsi con l’avvento dei Normanni, quando le attestazioni diventano più consistenti. Secondo l’opinione comune il castello sorse proprio ai tempi dei Normanni. Dal Manfredi, infatti, apprendiamo che: ”I Normanni cacciando i Saraceni dalla Calabria la conquistavano…I cosentini mal soffrendo che il duca (Roggero) avesse fatto fabbricare un castello nel cuore della città, segretamente si confederarono con Boemondo…”. La lotta per la successione tra i due figli di Roberto il Guiscardo, Boemondo e Ruggero II, fu lunga e aspra, interessò direttamente la nostra città e segnò le sorti del castello. Nella tregua raggiunta per intercessione dello zio Ruggero I, conte di Sicilia e fratello di Roberto il Guiscardo, e nella successiva ripartizione, Ruggero II ottenne Cosenza nel 1089. Nel 1098 Ruggero diede inizio ai lavori grazie ai quali il castello assunse i caratteri architettonici delle coeve costruzioni normanne. Le opere condotte a termine da Ruggero per il castello furono tali e tante da farlo considerare nel corso dei secoli il costruttore del monumento. I documenti affermano, infatti, che attorno al 1130 Ruggero si era stabilito a Cosenza e potrebbe essere ritenuto il primo castellano in quanto a lui si deve la ricostruzione del castello tra il 1086 e il 1132. In questo periodo il castello ebbe grande fulgore sia per la magnificenza consueta ai Normanni e ancor di più per Ruggero, amante del bello e delle arti, sia perché Cosenza visse un’epoca relativamente tranquilla, sempre in quest’epoca nel castello ebbe sede la Curia. Purtroppo indagini ed ipotesi riferibili a quest’arco cronologico risultano pressoché impossibili poiché il terremoto avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 giugno del 1184 distrusse la città quasi nella sua totalità e anche il castello, restaurato e in qualche modo simbolo del potere e della dominazione normanna andò in rovina, anche se non completamente. Va rilevato inoltre il fatto che non esistono attestazioni certe della fase Normanna del castello o quanto meno di una struttura fortificata eretta nel luogo dove oggi sorge l’edificio. Il Castello è stato oggetto nel corso dei secoli e delle diverse dominazioni che si sono susseguite non solo di costruzioni, ricostruzioni e adattamenti per soddisfare le esigenze, militari e non, dei dominatori di turno ma anche di crolli causati da vari eventi naturali. Sicuramente l’impronta Sveva fu talmente forte da essere la prima, in ordine di tempo, ancora “visibile” ai nostri giorni. Ciò che è riconducibile con certezza a fattura sveva è anzitutto l’impianto stesso del castello a pianta rettangolare con quattro torri angolari di cui le due settentrionali quadrate e quelle meridionali ottagonali. Sveve sono le sale a nord dette Salone del ricevimento, che conservano la chiara matrice gotico – cistercense, favorita dagli svevi, e che si manifesta nei suoi caratteri essenziali quali semplicità di forme, ridotto verticalismo, e solidità delle masse murarie, sicuramente svevo è il camino all’interno di queste sale che presenta un sistema di tiraggio atto a riscaldare i piani superiori. Elemento tipicamente svevo è la teoria delle sei sale ad est definite, sala delle armi, di cui la prima si conserva in buone condizioni, nonché l’apparecchiatura muraria delle monofore e i resti del camino presente nella penultima di queste sale. Sveve sono inoltre le sale a sud, definite, sala del trono, alle quali si aveva accesso tramite un portale che oggi appare murato e ben conservato tanto che sono ancora visibili i fori per l’alloggiamento della trave che chiudeva il portale stesso. Ancora sveve sono le porte che danno accesso a tutti questi ambienti, gli antichi portali d’ingresso, quello ovest, scoperto durante i restauri del 1938 e quello est più grande. Un veloce ma doveroso accenno meritano la torre ottagonale di sud – est superstite, importante perché oltre ad essere associata ai simboli imperiali che erano il cerchio, il rettangolo e l’ottagono appunto, insieme alla torre di Enna andrà a costituire una sorta d’anticipazione dell’ottagono di Castel del Monte in provincia di Bari (ricordiamo che la presenza del simbolo dell’ottagono è una costante nella città dei bruzi un esempio per tutti è la chiesa di San Domenico che ha una cappella ottagonale, così come ottagonali sono anche le colonne del chiostro dello stesso complesso monumentale che fu costruito per volere del principe Sanseverino nel 1449 ma sembra sui resti di un’antica struttura, un tempio dedicato a San Matteo, del 1200, guarda caso la stessa epoca di Federico II. L’ottagono è una forma geometrica fortemente simbolica: si tratta della figura intermedia tra il quadrato, simbolo della terra, e il cerchio, che rappresenta l’infinità del cielo. Certamente Federico II conosceva la “magia” del numero otto dal momento che la sua incoronazione a re dei romani avvenne nella cappella palatina di Aquisgrana, un tempio a pianta ottagonale e per di più la corona che gli venne imposta era anch’essa ottagonale. L’otto é un simbolo di rinascita, di resurrezione, di avvicinamento alla perfezione, usato in tanti edifici anche sacri). Nel corso dei secoli del Castello “Normanno-Svevo” di Cosenza si sono occupati numerosi esperti che hanno effettuato studi per cogliere le molteplici sfaccettature di una fortezza che tanto affascina quanto rimane, per certi versi, avvolta da un alone di mistero. Tra le numerose analisi quella “archeoastronomica” realizzata da Adriano Gaspani e Gisella Puterio, trascina il castello in una fiumana di un fascino mistico e senza tempo. I due studiosi pongono l’accento sull’interesse verso l’astronomia che nutriva quel popolo dei Bretti a cui molti fanno risalire l’origine della motta. Un’attenzione che viene testimoniata dalle monete rinvenute nelle necropoli della zona, quali quella di Muoio, sulle quali compaiono simboli stellari e immagini della falce lunare. Il castello di Cosenza sorge su una motta di forma rettangolare posta sulla sommità del colle Pancrazio. Per i due studiosi l’orientazione della motta è astronomicamente significativa. In base ad una serie di indagini effettuate, che non stiamo a riportare in questa sede, sono arrivati alla conclusione che la posizione della motta fu presumibilmente ottenuta utilizzando le stelle. La motta rimase verosimilmente intatta sul colle Pancrazio fino all’edificazione del castello da parte dei Normanni, anche se la prima notizia esplicita della sua esistenza riporta al 1239, quindi già in epoca sveva, nel momento in cui il fortilizio viene ad essere occupato e ristrutturato da Federico II. Il castello fu adattato bene sia alla motta che al suo allineamento. L’orientazione della motta certamente condizionò quella del castello anche se non era strettamente necessario mantenerla invariata, il terrapieno poteva essere modificato in funzione della nuova costruzione, ma ciò non avvenne. I Normanni, infatti, avevano l’abitudine di orientare le loro costruzioni lungo le direzioni cardinali astronomiche secondo la vecchia tradizione vichinga, ben evidenziata nelle orientazioni dei “trelleborger” scandinavi, cioè le loro caserme, abitudine che rimase invariata anche dopo negli stanziamenti in Italia Meridionale. Per i Normanni era naturale che il manufatto difensivo fosse orientato lungo la linea meridiana, quindi non ci fu alcun bisogno di modificare la struttura della motta. Il castello venne ristrutturato da Federico II il quale fece aggiungere le due torri ottagonali lungo il lato meridionale. In questo periodo, consigliere di Federico II era l’astronomo/astrologo e matematico Michele Scoto. Egli contribuì ad introdurre in Italia l’astronomia e l’astrologia islamica, fu molto sensibile alle credenze medioevali relative al simbolismo numerico e alle orientazioni astronomiche con motivazioni simboliche e astrologiche, quindi le due torri dovettero essere a sezione ottagonale per via del simbolismo mistico relativo al numero otto. Degni di nota anche i marchi dei lapicidi presenti in maniera consistente in tutta la struttura che messi a confronto con gli analoghi presenti in altre strutture fortificate dell’epoca, testimoniano come tra il 1225 e il 1260 circa, maestranze specializzate si spostassero da un cantiere all’altro a seguito della corte sveva. È comunque accertata la presenza di una scuola calabrese di maestranze specializzate quindi si potrebbe ipotizzare nella costruzione del fortilizio un affiancamento delle une con le altre. Infine svevi sono i sotterranei che univano le due torri quadrate di nord. Nel 1268 il castello cadde in mano angioina. Gli elementi angioini presenti all’interno della struttura consistono nel corridoio d’ingresso dalle strette volte archiacute poggianti su mensole dai capitelli decorati a grandi foglie longilinee e la cui chiave d’arco è a sezione anulare con incisi i gigli di Francia. Successivamente al castello furono apportati una serie di abbellimenti per ospitare Luigi III d’Angiò che vi soggiornò con la moglie Margherita di Savoia. Dopo una serie di lunghe e cruente lotte per la successione al trono il castello passò in mano aragonese, in questo periodo si effettuarono lavori che potremmo definire di “straordinaria manutenzione”. Le riparazioni riguardarono soprattutto apprestamenti di carattere militare fu rifatta la torre esterna o rivellino. I vari interventi edilizi degli aragonesi non apportarono modifiche sostanziali alla struttura, l’unica attestazione certa del dominio aragonese è data dallo stemma che sormonta il portale maggiore di est. Dal 1458 al 1461 il castello fu adibito a zecca per lo stato. Nel 1500 il castello viene citato tra i più efficienti del regno, fu riportato alla sua funzione primaria di edificio militare. Sono inoltre presenti numerose rappresentazioni grafiche del castello: la prima, in ordine di tempo, è quella del frate agostiniano Angelo Rocca, appassionato di rappresentazioni dei tessuti urbani, illustra la città situata all’incontro dei due fiumi e sulla sommità della quale è chiaramente rappresentato il castello (1583-1584); altra rappresentazione è il disegno e la relazione di Padre Giovanni Camerota risalente al 1595 in cui è illustrata la facciata est del castello con uno stile semplice ma accurato nel quale appaiono evidenti la torre ottagonale, la torre quadrata, le monofore (elementi ancora esistenti) mentre le merlature, che univano tutta la cortina, chiaramente evidenti nel disegno, crollarono o furono demolite. Terzo importante documento iconografico è la stampa dell’abate Pacichelli datato 1693 il castello sarebbe nel periodo della visita dell’abate in piena funzionalità, vista la rappresentazione della bandiera spiegata in cima al castello; ultima attestazione è un atto un po’ più tardo del castello, un contratto del 1695 con il quale la badessa del monastero di Gesù e Maria stabiliva un contratto d’affitto di un terreno adiacente al castello, e presenta al suo interno la planimetria della zona, visibile il portale d’ingresso ad est. I movimenti tellurici rovinarono molte parti del castello nel 1640 crollò la torre maggiore di nord-ovest e nel 1656 un fulmine colpì la torre ottagonale di sud – ovest facendola esplodere il che lascia presumere che in quel periodo la stessa veniva utilizzata come polveriera. Da qui inizia il periodo di decadenza almeno nella sua funzione originaria infatti intorno al 1750 Monsignor Galeota pensò di utilizzarlo come sede estiva dell’episcopio e dell’arcivescovato. I lavori per il riadattamento comprendevano una struttura a tre piani per ospitare le stanze dei seminaristi realizzata all’interno del cortile, un chiostro e una scala in calcare locale che conduceva ai piani superiori. Ulteriori modifiche furono apportate dall’arcivescovo Francone, fu realizzata la costruzione del porticato fra le due torri settentrionali, murato l’ingresso originario alla struttura e ricavato uno al centro sormontato dallo stemma dello stesso arcivescovo. Ai primi dell’ottocento risalgono invece i due bastioni posti sul lato ovest. Il racconto degli ultimi cento anni del maniero bruzio si risolve in un triste elenco di distruzioni avvenute a causa dei numerosi terremoti che lo hanno ridotto a rudere e a “semplice” monumento, infatti, nell’ultimo secolo la struttura ha cessato qualsiasi funzione sia di tipo militare che d’altro utilizzo. Il sisma del 4 ottobre 1870, con epicentro a Cosenza, danneggiò gravemente il castello che con la legge speciale del 4 febbraio 1887 divenne proprietà del comune. Nel 1905 un nuovo fortissimo terremoto continuò ad aggravarne la situazione già di per se critica, da allora, fino al 1927, rimase in stato di completo abbandono. Nel corso del ‘900 fu sottoposto a vari restauri parziali più volte interrotti. Nel 1940 si realizzò il restauro del “Salone del Ricevimento”. Nel 1952 vi furono lavori di sottofondazione e pavimentazione e il ripristino della copertura della “Sala delle Armi”. Nel 1953 furono portati a termine lavori di consolidamento dell’ala est. Nel 1954 furono ripristinate le feritoie della torre quadrata a nord-ovest, nonché la sistemazione definitiva della cappa e del focolaio del grande camino Svevo. Nel 1963 – 64 si rifece la copertura del salone del primo piano; il restauro della cisterna ubicata nell’ultimo degli ambienti dell’ala est e sempre nella stessa ala fu attuato il rifacimento dei capitelli. Nel 1970 – 1971 si eseguirono i lavori di consolidamento della scarpata sottostante la torre ottagonale, del muro di contenimento a nord, di quello a sud; la riparazione di diverse lesioni ed il restauro di alcuni particolari, tra i quali gli archi della scala settecentesca. Nel 1990 iniziò un intervento di consolidamento della torre di nord – ovest e durante un’operazione di pulitura della facciata, furono scoperte opere in pietra, come i pozzi dove convogliavano le acque piovane realizzati in età federiciana, oltre alcuni cocci di età rinascimentale. Nel 1992, sempre a scopo di consolidamento, si praticarono iniezioni di cemento lungo le pareti esterne della torre di nord– est.
“Ora è lì riposante nelle sue rovine inoperoso ma superbo nella sua millenaria esistenza”.
LA STRUTTURA DEL CASTELLO E LA SUA STORIA (brano tratto da una relazione della dott.ssa Francesca Cannataro, giornalista ed esperta in conservazione di beni culturali, che ha partecipato all'incontro citato)
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Sito sulla sommità del colle Pancrazio il castello domina imperturbato da secoli la confluenza del Crati con il Busento e tutto l’abitato cittadino da una meravigliosa posizione. Non chiara è l’origine del primo nucleo difensivo della città. Il fatto che fu costruito sulle rovine di una rocca romana ubicata in cima al colle Pancrazio è probabile, se non altro tenendo in considerazione che in ogni epoca la posizione strategica del sito deve aver suggerito di erigere lassù un fortilizio. Va in oltre tenuta presente l’esistenza in loco di alcuni ruderi di fattura romana anche se non si sa se in quest’ultimi, incorporati nella fabbrica di età posteriore, possano riconoscersi i resti della Rocca Bretica, costruita a difesa della città. Pur volendo ammettere che nulla resta dell’antica rocca costruita dai bruzi prima di lasciarsi dominare dai romani, non si può non tenere in considerazione l’esistenza di un’epigrafe trovata nei pressi del monastero delle “Cappuccinelle”, che sorge proprio sulla via del castello, che ricordava Valerio Flacco come primo restauratore del castello. Da quest’attestazione epigrafica si potrebbe arrivare alla conclusione che la rocca bretica fu restaurata dai vincitori latini, ad avvalorare la tesi di questa remota origine del castello è il pozzo presumibilmente romano che si trova in un andito nel primo piano del castello. La rocca fu poi distrutta e rasa al suolo dai saraceni, che misero a ferro e a fuoco la città per ben tre volte I lavori per la ricostruzione di una struttura fortificata iniziarono, secondo alcuni, nel 937 d.C., quando cioè “ i cosentini avevano preso atto della necessità di edificare un fortilizio a presidio dell’incolumità cittadina”, e lo riedificarono sulle rovine della fortezza, o quanto meno riutilizzandone i materiali , secondo altri nel 975 d. C, allorché i saraceni moltiplicarono le loro scorrerie. Sicuramente fu un’opera ben munita dal momento che il saraceno Saati Cayti nel 1009 non solo ne fece la sua dimora, ma ne continuò anche l’opera di costruzione. In ogni caso è pressoché impossibile riconoscere la forma e le strutture originali dell’edificio e l’ubicazione esatta della struttura fortificata nei secoli IX e immediatamente successivi, sia a causa dei rimaneggiamenti subiti dal fortilizio, sia per una sostanziale mancanza di fonti documentarie. L’ombra di notizie che avvolge il castello sembra man mano diradarsi con l’avvento dei Normanni, quando le attestazioni diventano più consistenti. Secondo l’opinione comune il castello sorse proprio ai tempi dei Normanni. Dal Manfredi, infatti, apprendiamo che: ”I Normanni cacciando i Saraceni dalla Calabria la conquistavano…I cosentini mal soffrendo che il duca (Roggero) avesse fatto fabbricare un castello nel cuore della città, segretamente si confederarono con Boemondo…”. La lotta per la successione tra i due figli di Roberto il Guiscardo, Boemondo e Ruggero II, fu lunga e aspra, interessò direttamente la nostra città e segnò le sorti del castello. Nella tregua raggiunta per intercessione dello zio Ruggero I, conte di Sicilia e fratello di Roberto il Guiscardo, e nella successiva ripartizione, Ruggero II ottenne Cosenza nel 1089. Nel 1098 Ruggero diede inizio ai lavori grazie ai quali il castello assunse i caratteri architettonici delle coeve costruzioni normanne. Le opere condotte a termine da Ruggero per il castello furono tali e tante da farlo considerare nel corso dei secoli il costruttore del monumento. I documenti affermano, infatti, che attorno al 1130 Ruggero si era stabilito a Cosenza e potrebbe essere ritenuto il primo castellano in quanto a lui si deve la ricostruzione del castello tra il 1086 e il 1132. In questo periodo il castello ebbe grande fulgore sia per la magnificenza consueta ai Normanni e ancor di più per Ruggero, amante del bello e delle arti, sia perché Cosenza visse un’epoca relativamente tranquilla, sempre in quest’epoca nel castello ebbe sede la Curia. Purtroppo indagini ed ipotesi riferibili a quest’arco cronologico risultano pressoché impossibili poiché il terremoto avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 giugno del 1184 distrusse la città quasi nella sua totalità e anche il castello, restaurato e in qualche modo simbolo del potere e della dominazione normanna andò in rovina, anche se non completamente. Va rilevato inoltre il fatto che non esistono attestazioni certe della fase Normanna del castello o quanto meno di una struttura fortificata eretta nel luogo dove oggi sorge l’edificio. Il Castello è stato oggetto nel corso dei secoli e delle diverse dominazioni che si sono susseguite non solo di costruzioni, ricostruzioni e adattamenti per soddisfare le esigenze, militari e non, dei dominatori di turno ma anche di crolli causati da vari eventi naturali. Sicuramente l’impronta Sveva fu talmente forte da essere la prima, in ordine di tempo, ancora “visibile” ai nostri giorni. Ciò che è riconducibile con certezza a fattura sveva è anzitutto l’impianto stesso del castello a pianta rettangolare con quattro torri angolari di cui le due settentrionali quadrate e quelle meridionali ottagonali. Sveve sono le sale a nord dette Salone del ricevimento, che conservano la chiara matrice gotico – cistercense, favorita dagli svevi, e che si manifesta nei suoi caratteri essenziali quali semplicità di forme, ridotto verticalismo, e solidità delle masse murarie, sicuramente svevo è il camino all’interno di queste sale che presenta un sistema di tiraggio atto a riscaldare i piani superiori. Elemento tipicamente svevo è la teoria delle sei sale ad est definite, sala delle armi, di cui la prima si conserva in buone condizioni, nonché l’apparecchiatura muraria delle monofore e i resti del camino presente nella penultima di queste sale. Sveve sono inoltre le sale a sud, definite, sala del trono, alle quali si aveva accesso tramite un portale che oggi appare murato e ben conservato tanto che sono ancora visibili i fori per l’alloggiamento della trave che chiudeva il portale stesso. Ancora sveve sono le porte che danno accesso a tutti questi ambienti, gli antichi portali d’ingresso, quello ovest, scoperto durante i restauri del 1938 e quello est più grande. Un veloce ma doveroso accenno meritano la torre ottagonale di sud – est superstite, importante perché oltre ad essere associata ai simboli imperiali che erano il cerchio, il rettangolo e l’ottagono appunto, insieme alla torre di Enna andrà a costituire una sorta d’anticipazione dell’ottagono di Castel del Monte in provincia di Bari (ricordiamo che la presenza del simbolo dell’ottagono è una costante nella città dei bruzi un esempio per tutti è la chiesa di San Domenico che ha una cappella ottagonale, così come ottagonali sono anche le colonne del chiostro dello stesso complesso monumentale che fu costruito per volere del principe Sanseverino nel 1449 ma sembra sui resti di un’antica struttura, un tempio dedicato a San Matteo, del 1200, guarda caso la stessa epoca di Federico II. L’ottagono è una forma geometrica fortemente simbolica: si tratta della figura intermedia tra il quadrato, simbolo della terra, e il cerchio, che rappresenta l’infinità del cielo. Certamente Federico II conosceva la “magia” del numero otto dal momento che la sua incoronazione a re dei romani avvenne nella cappella palatina di Aquisgrana, un tempio a pianta ottagonale e per di più la corona che gli venne imposta era anch’essa ottagonale. L’otto é un simbolo di rinascita, di resurrezione, di avvicinamento alla perfezione, usato in tanti edifici anche sacri). Nel corso dei secoli del Castello “Normanno-Svevo” di Cosenza si sono occupati numerosi esperti che hanno effettuato studi per cogliere le molteplici sfaccettature di una fortezza che tanto affascina quanto rimane, per certi versi, avvolta da un alone di mistero. Tra le numerose analisi quella “archeoastronomica” realizzata da Adriano Gaspani e Gisella Puterio, trascina il castello in una fiumana di un fascino mistico e senza tempo. I due studiosi pongono l’accento sull’interesse verso l’astronomia che nutriva quel popolo dei Bretti a cui molti fanno risalire l’origine della motta. Un’attenzione che viene testimoniata dalle monete rinvenute nelle necropoli della zona, quali quella di Muoio, sulle quali compaiono simboli stellari e immagini della falce lunare. Il castello di Cosenza sorge su una motta di forma rettangolare posta sulla sommità del colle Pancrazio. Per i due studiosi l’orientazione della motta è astronomicamente significativa. In base ad una serie di indagini effettuate, che non stiamo a riportare in questa sede, sono arrivati alla conclusione che la posizione della motta fu presumibilmente ottenuta utilizzando le stelle. La motta rimase verosimilmente intatta sul colle Pancrazio fino all’edificazione del castello da parte dei Normanni, anche se la prima notizia esplicita della sua esistenza riporta al 1239, quindi già in epoca sveva, nel momento in cui il fortilizio viene ad essere occupato e ristrutturato da Federico II. Il castello fu adattato bene sia alla motta che al suo allineamento. L’orientazione della motta certamente condizionò quella del castello anche se non era strettamente necessario mantenerla invariata, il terrapieno poteva essere modificato in funzione della nuova costruzione, ma ciò non avvenne. I Normanni, infatti, avevano l’abitudine di orientare le loro costruzioni lungo le direzioni cardinali astronomiche secondo la vecchia tradizione vichinga, ben evidenziata nelle orientazioni dei “trelleborger” scandinavi, cioè le loro caserme, abitudine che rimase invariata anche dopo negli stanziamenti in Italia Meridionale. Per i Normanni era naturale che il manufatto difensivo fosse orientato lungo la linea meridiana, quindi non ci fu alcun bisogno di modificare la struttura della motta. Il castello venne ristrutturato da Federico II il quale fece aggiungere le due torri ottagonali lungo il lato meridionale. In questo periodo, consigliere di Federico II era l’astronomo/astrologo e matematico Michele Scoto. Egli contribuì ad introdurre in Italia l’astronomia e l’astrologia islamica, fu molto sensibile alle credenze medioevali relative al simbolismo numerico e alle orientazioni astronomiche con motivazioni simboliche e astrologiche, quindi le due torri dovettero essere a sezione ottagonale per via del simbolismo mistico relativo al numero otto. Degni di nota anche i marchi dei lapicidi presenti in maniera consistente in tutta la struttura che messi a confronto con gli analoghi presenti in altre strutture fortificate dell’epoca, testimoniano come tra il 1225 e il 1260 circa, maestranze specializzate si spostassero da un cantiere all’altro a seguito della corte sveva. È comunque accertata la presenza di una scuola calabrese di maestranze specializzate quindi si potrebbe ipotizzare nella costruzione del fortilizio un affiancamento delle une con le altre. Infine svevi sono i sotterranei che univano le due torri quadrate di nord. Nel 1268 il castello cadde in mano angioina. Gli elementi angioini presenti all’interno della struttura consistono nel corridoio d’ingresso dalle strette volte archiacute poggianti su mensole dai capitelli decorati a grandi foglie longilinee e la cui chiave d’arco è a sezione anulare con incisi i gigli di Francia. Successivamente al castello furono apportati una serie di abbellimenti per ospitare Luigi III d’Angiò che vi soggiornò con la moglie Margherita di Savoia. Dopo una serie di lunghe e cruente lotte per la successione al trono il castello passò in mano aragonese, in questo periodo si effettuarono lavori che potremmo definire di “straordinaria manutenzione”. Le riparazioni riguardarono soprattutto apprestamenti di carattere militare fu rifatta la torre esterna o rivellino. I vari interventi edilizi degli aragonesi non apportarono modifiche sostanziali alla struttura, l’unica attestazione certa del dominio aragonese è data dallo stemma che sormonta il portale maggiore di est. Dal 1458 al 1461 il castello fu adibito a zecca per lo stato. Nel 1500 il castello viene citato tra i più efficienti del regno, fu riportato alla sua funzione primaria di edificio militare. Sono inoltre presenti numerose rappresentazioni grafiche del castello: la prima, in ordine di tempo, è quella del frate agostiniano Angelo Rocca, appassionato di rappresentazioni dei tessuti urbani, illustra la città situata all’incontro dei due fiumi e sulla sommità della quale è chiaramente rappresentato il castello (1583-1584); altra rappresentazione è il disegno e la relazione di Padre Giovanni Camerota risalente al 1595 in cui è illustrata la facciata est del castello con uno stile semplice ma accurato nel quale appaiono evidenti la torre ottagonale, la torre quadrata, le monofore (elementi ancora esistenti) mentre le merlature, che univano tutta la cortina, chiaramente evidenti nel disegno, crollarono o furono demolite. Terzo importante documento iconografico è la stampa dell’abate Pacichelli datato 1693 il castello sarebbe nel periodo della visita dell’abate in piena funzionalità, vista la rappresentazione della bandiera spiegata in cima al castello; ultima attestazione è un atto un po’ più tardo del castello, un contratto del 1695 con il quale la badessa del monastero di Gesù e Maria stabiliva un contratto d’affitto di un terreno adiacente al castello, e presenta al suo interno la planimetria della zona, visibile il portale d’ingresso ad est. I movimenti tellurici rovinarono molte parti del castello nel 1640 crollò la torre maggiore di nord-ovest e nel 1656 un fulmine colpì la torre ottagonale di sud – ovest facendola esplodere il che lascia presumere che in quel periodo la stessa veniva utilizzata come polveriera. Da qui inizia il periodo di decadenza almeno nella sua funzione originaria infatti intorno al 1750 Monsignor Galeota pensò di utilizzarlo come sede estiva dell’episcopio e dell’arcivescovato. I lavori per il riadattamento comprendevano una struttura a tre piani per ospitare le stanze dei seminaristi realizzata all’interno del cortile, un chiostro e una scala in calcare locale che conduceva ai piani superiori. Ulteriori modifiche furono apportate dall’arcivescovo Francone, fu realizzata la costruzione del porticato fra le due torri settentrionali, murato l’ingresso originario alla struttura e ricavato uno al centro sormontato dallo stemma dello stesso arcivescovo. Ai primi dell’ottocento risalgono invece i due bastioni posti sul lato ovest. Il racconto degli ultimi cento anni del maniero bruzio si risolve in un triste elenco di distruzioni avvenute a causa dei numerosi terremoti che lo hanno ridotto a rudere e a “semplice” monumento, infatti, nell’ultimo secolo la struttura ha cessato qualsiasi funzione sia di tipo militare che d’altro utilizzo. Il sisma del 4 ottobre 1870, con epicentro a Cosenza, danneggiò gravemente il castello che con la legge speciale del 4 febbraio 1887 divenne proprietà del comune. Nel 1905 un nuovo fortissimo terremoto continuò ad aggravarne la situazione già di per se critica, da allora, fino al 1927, rimase in stato di completo abbandono. Nel corso del ‘900 fu sottoposto a vari restauri parziali più volte interrotti. Nel 1940 si realizzò il restauro del “Salone del Ricevimento”. Nel 1952 vi furono lavori di sottofondazione e pavimentazione e il ripristino della copertura della “Sala delle Armi”. Nel 1953 furono portati a termine lavori di consolidamento dell’ala est. Nel 1954 furono ripristinate le feritoie della torre quadrata a nord-ovest, nonché la sistemazione definitiva della cappa e del focolaio del grande camino Svevo. Nel 1963 – 64 si rifece la copertura del salone del primo piano; il restauro della cisterna ubicata nell’ultimo degli ambienti dell’ala est e sempre nella stessa ala fu attuato il rifacimento dei capitelli. Nel 1970 – 1971 si eseguirono i lavori di consolidamento della scarpata sottostante la torre ottagonale, del muro di contenimento a nord, di quello a sud; la riparazione di diverse lesioni ed il restauro di alcuni particolari, tra i quali gli archi della scala settecentesca. Nel 1990 iniziò un intervento di consolidamento della torre di nord – ovest e durante un’operazione di pulitura della facciata, furono scoperte opere in pietra, come i pozzi dove convogliavano le acque piovane realizzati in età federiciana, oltre alcuni cocci di età rinascimentale. Nel 1992, sempre a scopo di consolidamento, si praticarono iniezioni di cemento lungo le pareti esterne della torre di nord– est.
“Ora è lì riposante nelle sue rovine inoperoso ma superbo nella sua millenaria esistenza”.
sabato 12 febbraio 2011
La Madonna del Pilerio, patrona di Cosenza. La storia e il culto
Il termine Pilerio deriva probabilmente da piliero (pilastro)oppure dal greco puleròs (guardiana, custode della porta della Città).
Il culto alla Madonna del Pilerio come Patrona di Cosenza risale alla fine del sec. XVI. Si tramanda che nell'anno 1576, mentre la peste desolava diverse regioni d'Italia, un devoto, in preghiera davanti all'icona della Madonna del Pilerio, si accorse di una macchia simile al bubbone pestifero, presente sul viso dell'Immagine.
Il fenomeno fu constatato dal popolo e dalle autorità ecclesiastiche. La macchia fu considerata come un prodigio e come segno rivelativo della protezione della Madonna per la Città di Cosenza, da lei salvata dalla peste.
Da allora la Vergine del Pilerio divenne la Protettrice della Città. La notizia del segno prodigioso non tardò a divulgarsi e dai paesi vicini iniziò un crescente accorrere di devoti.
I pellegrinaggi continuarono nel tempo e crebbero di numero, tanto che nel 1603, l'arcivescovo Mons. Giovan Battista Costanzo (1591-1617), per meglio favorire l'afflusso dei pellegrini, tolse il quadro dal luogo dove si trovava e lo collocò prima su uno dei pilastri della navata centrale del Duomo, poi sull'altare maggiore ed infine nel 1607 nella cappella appositamente costruita, dedicata alla Vergine e dove ancora oggi si venera.
Il 17 aprile 1607, su richiesta unanime dei cosentini, l'arcivescovo mons. Costanzo incoronò la Vergine del Pilerio Regina e Patrona della Città. Nel 1783 un violento terremoto si abbatté su Cosenza. In quella occasione si constatò un altro segno sul viso dell'Immagine del Pilerio. Furono da tutti notate alcune screpolature sulla pittura che poi scomparvero, ma non del tutto, una volta passato il flagello. Il 6 luglio 1798 si stabiliva la celebrazione della sua festa il giorno 8 settembre di ogni anno. Il 12 giugno 1836 l'arcivescovo mons. Lorenzo Puntillo (1833-1873) fece una seconda incoronazione con due corone d'oro e di gemme di gran valore. In seguito al terribile terremoto del 12 febbraio 1854 i cosentini chiesero e, l'11 gennaio 1855, ottennero dall'autorità ecclesiastica l'istituzione di una seconda festa, detta del patrocinio, in onore della Vergine del Pilerio, da celebrarsi ogni anno il 12 febbraio. Il 1922 avvenne una terza incoronazione, autorizzata dal Capitolo Vaticano con decreto del 4 maggio 1922 e a celebrarla fu lo stesso arcivescovo mons. Trussoni (1912-1933), che pose sul capo della Beatissima Vergine l'aurea preziosa corona. Durante la seconda guerra mondiale si ebbero a Cosenza due bombardamenti, che spopolarono la Città: il 12 aprile ed il 28 agosto 1943.
Per iniziativa dell'arcivescovo mons. Aniello Calcara (1941-1961) il 6 settembre 1943 il quadro della Madonna fu portato nel Convento dei Padri Minori di Pietrafitta.
L'anno 1948 fu caratterizzato dalla Peregrinatio Mariae, voluta e incoraggiata da mons. Aniello Calcara come preparazione remota al Congresso Mariano, programmato per il 1951, allo scopo di ravvivare ed accrescere sempre più la vera devozione alla Gran Madre di Dio e Madre nostra. Il Duomo di Cosenza fu ininterrottamente meta di molti e numerosi pellegrinaggi.
Il 20 febbraio 1980 si ebbe a Cosenza un forte terremoto che seminò il panico tra la popolazione. In quella circostanza i cosentini, che trovarono, ancora una volta, nella Madonna del Pilerio rifugio e conforto, chiesero e ottennero da mons. Augusto Lauro, amministratore apostolico della Diocesi, una processione, preceduta da un triduo di preparazione. Il 10 maggio 1981 l'arcivescovo mons. Dino Trabalzini ha elevato a santuario della Vergine SS. del Pilerio il monumentale Duomo di Cosenza. Il 6 ottobre 1984 la Cattedrale di Cosenza è stata visitata da S.S. Giovanni Paolo II. La visita del Papa, la cui devozione filiale alla Madonna contraddistingue il suo pontificato, ha costituito per il popolo Cosentino e per la Calabria tutta una occasione preziosa per rinvigorire la fede e trovare nuovo slancio e fervore anche nella devozione alla Vergine Santa. Il 10 ottobre 1988, durante la celebrazione di chiusura dell'Anno Mariano, mons.
Dino Trabalzini ha proclamato la Madonna del Pilerio Patrona principale della Diocesi di Cosenza - Bisignano e ha confermato il titolo di Patrona della Città di Cosenza. In questa stessa circostanza la Cattedrale (già per sé santuario) è stata eretta a Santuario diocesano. Il 1996 la Cattedrale è stata insignita del premio Calabria Mariana, insieme ai santuari mariani più importanti delle altre diocesi calabresi.
L'icona della Madonna del Pilerio è una insigne espressione di questa particolare forma artistica. L'iscrizione in latino dice chiaramente che non è un'icona arrivata dall'oriente, ma eseguita in ambito mediterraneo occidentale. L'icona nel corso dei secoli ha subìto vari danni ed è stata oggetto di rimaneggiamenti fino ad essere ridipinta. E' stata poi riportata alla bellezza originale nel 1976-77. L'icona si caratterizza per il Bambino che viene nutrito dal seno della Madre e dal velo rosso che elegantemente scende sul capo della Vergine. Nell'iconografia orientale l'icona della Vergine che nutre al seno il Figlio viene detta Galaktotrophousa. L'icona della Madonna del Pilerio è, dunque, primariamente, una icona Galaktotrophousa. Il velo rosso che dalla testa scende con eleganza sulla spalla sinistra caratterizza mafòrion (manto) della Vergine del Pilerio. Questo particolare la avvicina alla Vergine del monastero di Kikko a Cipro, detta la Kikkotissa. Molti altri particolari pittorici esprimono una straordinaria ricchezza di rimandi dottrinali che impreziosiscono l'icona della Madonna del Pilerio, "quasi da renderla un compendio del Nuovo Testamento". Il colore rosso è simbolo della divinità. Nella Icona è significato dalla parte del velo (maforion) che copre il capo della Vergine-Madre di Dio (Theotòkos così chiamata perché ha generato il Cristo: Figlio di Dio. I colori bleu e marrone del vestito della Vergine - Madre di Dio rappresentano la sua umanità di creatura di Dio. Le tre stelline poste sul cava e sulle spalle della Vergine- Madre di Dio vorrebbero indicare la sua perpetua verginità : prima, durante e dopo la nascita di Gesù divino Redentore dell'umanità. Oppure potrebbero anche significare che l'Economia della salvezza del genere umano è opera congiunta del Padre del Figlio e dello Spirito Santo:- la SS. Trinità. L'aureola intorno al capo della Vergine - Madre di Dio, formata da medaglioni dorati, indica che a Lei fanno corona gli 11 Apostoli , di cui è Regina, che attese nel Cenacolo di Gerusalemme l'effusione dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste, secondo la promessa di Gesù prima di ascendere al Cielo. Il nastro color rosso che cinge il corpo nudo del Bambino Gesù che poppa in braccio alla Madre divina indica la natura divina del Figlio di Dio, incarnatosi per la redenzione degli uomini. Il doppio corpo che presenta il corpo del Bambino Gesù, sta ad indicare la duplice natura di Cristo: la natura divina e la natura umana, unite nell'unica Persona del Verbo: il Figlio eterno di Dio. L'aureola con in mezzo il segno di Croce posta dietro il suo capo sta ad indicare la sua immolazione sulla croce. E' da osservare lo sguardo del Bambino che poppa in seno alla Madre e quella della Vergine sguardo meditabondo, rivolto quasi nel vuoto, fisso, si direbbe, nel futuro e quindi alla fine dolorosa del divino suo Figlio.
Il culto alla Madonna del Pilerio come Patrona di Cosenza risale alla fine del sec. XVI. Si tramanda che nell'anno 1576, mentre la peste desolava diverse regioni d'Italia, un devoto, in preghiera davanti all'icona della Madonna del Pilerio, si accorse di una macchia simile al bubbone pestifero, presente sul viso dell'Immagine.
Il fenomeno fu constatato dal popolo e dalle autorità ecclesiastiche. La macchia fu considerata come un prodigio e come segno rivelativo della protezione della Madonna per la Città di Cosenza, da lei salvata dalla peste.
Da allora la Vergine del Pilerio divenne la Protettrice della Città. La notizia del segno prodigioso non tardò a divulgarsi e dai paesi vicini iniziò un crescente accorrere di devoti.
I pellegrinaggi continuarono nel tempo e crebbero di numero, tanto che nel 1603, l'arcivescovo Mons. Giovan Battista Costanzo (1591-1617), per meglio favorire l'afflusso dei pellegrini, tolse il quadro dal luogo dove si trovava e lo collocò prima su uno dei pilastri della navata centrale del Duomo, poi sull'altare maggiore ed infine nel 1607 nella cappella appositamente costruita, dedicata alla Vergine e dove ancora oggi si venera.
Il 17 aprile 1607, su richiesta unanime dei cosentini, l'arcivescovo mons. Costanzo incoronò la Vergine del Pilerio Regina e Patrona della Città. Nel 1783 un violento terremoto si abbatté su Cosenza. In quella occasione si constatò un altro segno sul viso dell'Immagine del Pilerio. Furono da tutti notate alcune screpolature sulla pittura che poi scomparvero, ma non del tutto, una volta passato il flagello. Il 6 luglio 1798 si stabiliva la celebrazione della sua festa il giorno 8 settembre di ogni anno. Il 12 giugno 1836 l'arcivescovo mons. Lorenzo Puntillo (1833-1873) fece una seconda incoronazione con due corone d'oro e di gemme di gran valore. In seguito al terribile terremoto del 12 febbraio 1854 i cosentini chiesero e, l'11 gennaio 1855, ottennero dall'autorità ecclesiastica l'istituzione di una seconda festa, detta del patrocinio, in onore della Vergine del Pilerio, da celebrarsi ogni anno il 12 febbraio. Il 1922 avvenne una terza incoronazione, autorizzata dal Capitolo Vaticano con decreto del 4 maggio 1922 e a celebrarla fu lo stesso arcivescovo mons. Trussoni (1912-1933), che pose sul capo della Beatissima Vergine l'aurea preziosa corona. Durante la seconda guerra mondiale si ebbero a Cosenza due bombardamenti, che spopolarono la Città: il 12 aprile ed il 28 agosto 1943.
Per iniziativa dell'arcivescovo mons. Aniello Calcara (1941-1961) il 6 settembre 1943 il quadro della Madonna fu portato nel Convento dei Padri Minori di Pietrafitta.
L'anno 1948 fu caratterizzato dalla Peregrinatio Mariae, voluta e incoraggiata da mons. Aniello Calcara come preparazione remota al Congresso Mariano, programmato per il 1951, allo scopo di ravvivare ed accrescere sempre più la vera devozione alla Gran Madre di Dio e Madre nostra. Il Duomo di Cosenza fu ininterrottamente meta di molti e numerosi pellegrinaggi.
Il 20 febbraio 1980 si ebbe a Cosenza un forte terremoto che seminò il panico tra la popolazione. In quella circostanza i cosentini, che trovarono, ancora una volta, nella Madonna del Pilerio rifugio e conforto, chiesero e ottennero da mons. Augusto Lauro, amministratore apostolico della Diocesi, una processione, preceduta da un triduo di preparazione. Il 10 maggio 1981 l'arcivescovo mons. Dino Trabalzini ha elevato a santuario della Vergine SS. del Pilerio il monumentale Duomo di Cosenza. Il 6 ottobre 1984 la Cattedrale di Cosenza è stata visitata da S.S. Giovanni Paolo II. La visita del Papa, la cui devozione filiale alla Madonna contraddistingue il suo pontificato, ha costituito per il popolo Cosentino e per la Calabria tutta una occasione preziosa per rinvigorire la fede e trovare nuovo slancio e fervore anche nella devozione alla Vergine Santa. Il 10 ottobre 1988, durante la celebrazione di chiusura dell'Anno Mariano, mons.
Dino Trabalzini ha proclamato la Madonna del Pilerio Patrona principale della Diocesi di Cosenza - Bisignano e ha confermato il titolo di Patrona della Città di Cosenza. In questa stessa circostanza la Cattedrale (già per sé santuario) è stata eretta a Santuario diocesano. Il 1996 la Cattedrale è stata insignita del premio Calabria Mariana, insieme ai santuari mariani più importanti delle altre diocesi calabresi.
L'icona della Madonna del Pilerio è una insigne espressione di questa particolare forma artistica. L'iscrizione in latino dice chiaramente che non è un'icona arrivata dall'oriente, ma eseguita in ambito mediterraneo occidentale. L'icona nel corso dei secoli ha subìto vari danni ed è stata oggetto di rimaneggiamenti fino ad essere ridipinta. E' stata poi riportata alla bellezza originale nel 1976-77. L'icona si caratterizza per il Bambino che viene nutrito dal seno della Madre e dal velo rosso che elegantemente scende sul capo della Vergine. Nell'iconografia orientale l'icona della Vergine che nutre al seno il Figlio viene detta Galaktotrophousa. L'icona della Madonna del Pilerio è, dunque, primariamente, una icona Galaktotrophousa. Il velo rosso che dalla testa scende con eleganza sulla spalla sinistra caratterizza mafòrion (manto) della Vergine del Pilerio. Questo particolare la avvicina alla Vergine del monastero di Kikko a Cipro, detta la Kikkotissa. Molti altri particolari pittorici esprimono una straordinaria ricchezza di rimandi dottrinali che impreziosiscono l'icona della Madonna del Pilerio, "quasi da renderla un compendio del Nuovo Testamento". Il colore rosso è simbolo della divinità. Nella Icona è significato dalla parte del velo (maforion) che copre il capo della Vergine-Madre di Dio (Theotòkos così chiamata perché ha generato il Cristo: Figlio di Dio. I colori bleu e marrone del vestito della Vergine - Madre di Dio rappresentano la sua umanità di creatura di Dio. Le tre stelline poste sul cava e sulle spalle della Vergine- Madre di Dio vorrebbero indicare la sua perpetua verginità : prima, durante e dopo la nascita di Gesù divino Redentore dell'umanità. Oppure potrebbero anche significare che l'Economia della salvezza del genere umano è opera congiunta del Padre del Figlio e dello Spirito Santo:- la SS. Trinità. L'aureola intorno al capo della Vergine - Madre di Dio, formata da medaglioni dorati, indica che a Lei fanno corona gli 11 Apostoli , di cui è Regina, che attese nel Cenacolo di Gerusalemme l'effusione dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste, secondo la promessa di Gesù prima di ascendere al Cielo. Il nastro color rosso che cinge il corpo nudo del Bambino Gesù che poppa in braccio alla Madre divina indica la natura divina del Figlio di Dio, incarnatosi per la redenzione degli uomini. Il doppio corpo che presenta il corpo del Bambino Gesù, sta ad indicare la duplice natura di Cristo: la natura divina e la natura umana, unite nell'unica Persona del Verbo: il Figlio eterno di Dio. L'aureola con in mezzo il segno di Croce posta dietro il suo capo sta ad indicare la sua immolazione sulla croce. E' da osservare lo sguardo del Bambino che poppa in seno alla Madre e quella della Vergine sguardo meditabondo, rivolto quasi nel vuoto, fisso, si direbbe, nel futuro e quindi alla fine dolorosa del divino suo Figlio.
venerdì 11 febbraio 2011
Cosa fare dell'edificio della Banca d'Italia? Dalla commissione cultura del Comune di Cosenza fuoriesce l'ipotesi di un casinò...
Il dibattito che in questi giorni tiene banco in città, relativamente al futuro utilizzo del palazzo attualmente chiuso di proprietà Banca d’Italia, è soprattutto la conferma di come, mancando un progetto di sviluppo per il territorio, ogni occasione fortunata, e ne abbiamo avute tante, possa andare persa. Si fa strada, per esempio, la proposta di utilizzare la struttura come sede di una sala da gioco/ casinò.
Se da un lato quest’ipotesi risolve il problema della conduzione della struttura e delle finanze del Comune (ipotesi pero' non molto legata ai lavori di una commissione cultura) entrambi certamente non trascurabili, dall’altro appare evidente che i benefici economici derivanti da questo tipo di operazione sarebbero a vantaggio esclusivo dei gestori. Inoltre si rischierebbe di incentivare, in un momento di crisi economica, il gioco e le scommesse che spesso disastrano molte persone. In sintesi, oltre alla creazione di qualche posto di lavoro e alla reale possibilità che un casinò venga utilizzato anche per riciclo di denaro, non si intravedono ricadute positive in senso esteso. Comprendere ciò che un palazzo così bello e così ben posizionato (significativo l'intreccio e i collegamenti tra zona antica, moderna e contemporanea che esso rappresenta) debba diventare (in mancanza di un progetto di sviluppo del territorio, costruito in modo analitico, sfruttandone le potenzialità), è solo un esercizio di fantasia, perché poco cambia che sia casinò, scuola di restauro delle bambole o museo dei giochi tradizionali, se manca una rete di sinergie che lo giustifichi e lo supporti. Del resto, la città è già ricchissima di palazzi inutilizzati. Noi segnaliamo l'opportunità di coinvolgere l'assessorato regionale alla cooperazione tra i popoli, nonchè le confederazioni artigianali che potrebbero dedicare, previa costituzione di un consorzio acquirente, la struttura ai rapporti col Mediterraneo e alla esposizione delle eccellenze artistiche ed artigianali della Regione. Crediamo, dunque, che l'utilizzo dell'edificio (che pare essere in vendita) possa involgere arte, cultura, sede di rappresentanza e spazi di comunicazione e promozione turistica.
Se da un lato quest’ipotesi risolve il problema della conduzione della struttura e delle finanze del Comune (ipotesi pero' non molto legata ai lavori di una commissione cultura) entrambi certamente non trascurabili, dall’altro appare evidente che i benefici economici derivanti da questo tipo di operazione sarebbero a vantaggio esclusivo dei gestori. Inoltre si rischierebbe di incentivare, in un momento di crisi economica, il gioco e le scommesse che spesso disastrano molte persone. In sintesi, oltre alla creazione di qualche posto di lavoro e alla reale possibilità che un casinò venga utilizzato anche per riciclo di denaro, non si intravedono ricadute positive in senso esteso. Comprendere ciò che un palazzo così bello e così ben posizionato (significativo l'intreccio e i collegamenti tra zona antica, moderna e contemporanea che esso rappresenta) debba diventare (in mancanza di un progetto di sviluppo del territorio, costruito in modo analitico, sfruttandone le potenzialità), è solo un esercizio di fantasia, perché poco cambia che sia casinò, scuola di restauro delle bambole o museo dei giochi tradizionali, se manca una rete di sinergie che lo giustifichi e lo supporti. Del resto, la città è già ricchissima di palazzi inutilizzati. Noi segnaliamo l'opportunità di coinvolgere l'assessorato regionale alla cooperazione tra i popoli, nonchè le confederazioni artigianali che potrebbero dedicare, previa costituzione di un consorzio acquirente, la struttura ai rapporti col Mediterraneo e alla esposizione delle eccellenze artistiche ed artigianali della Regione. Crediamo, dunque, che l'utilizzo dell'edificio (che pare essere in vendita) possa involgere arte, cultura, sede di rappresentanza e spazi di comunicazione e promozione turistica.
mercoledì 9 febbraio 2011
Tra luoghi dimenticati e nascosti per gli sprechi: il caso dell'ex ricovero Umberto I sul colle Pancrazio.
Nella città di Cosenza si prosegue con il non valorizzare il centro storico. In controtendenza con il resto d'Italia. Nei giorni scorsi (7 e 8 febbraio), abbiamo ricordato a tutti i cittadini, con forza (e per queso ringraziamo tv e giornali), dell'esistenza di un posto dimenticato, ricco di storia e di vicende umane difficili. Una specie di isoletta da triangolo delle Bermuda, come altre ce ne sono a Cosenza.
Uno di quei posti sistemati dai Cappuccini nel '600 in cima ad un colle importante, a dominare la città, poi adibito a ricovero per anziani indigenti.
Tre anni fa avevano presentato in pompa magna un progetto di riqualificazione dell'ex convento dei Cappuccini, poi ricovero Umberto I, sito nei pressi del Castello Svevo, dal 1880 destinato ad accogliere anziani. Anziani che sul finire degli anni '80 in molti si ricordano essere rimasti in pochi e trattati malissimo. Dalla Provincia di Cosenza, i nostri amministratori, proclamarono nel 2008 di voler destinare a master post-universitari il complesso.
La struttura vive oggi nel degrado più totale, tra siringhe, erbacce e rifiuti, mentre in alcune notti dell'anno gode visite di alcune persone dedite a non ben specificate celebrazioni.
Abbiamo chiesto pubblicamente che Comune e Provincia mandino a dare un'occhiata, almeno per recintare bene l'area ed il complesso. Che riprovino con serietà e fuori dalle parate pubblicitarie a rilanciare la zona.
Ad avviso del nostro movimento civico l'area deve essere ricondotta ad un utilizzo sociale e di solidarietà, evitando ulteriori proclami ed ulteriori spese per avviamento di lavori mai completati. E' un complesso storico, che gode di una posizione e di un panorama meravigliosi, ideale per diversi tipi di attività, pubblica o privata.
Si è trattato, fino ad oggi, di soldi pubblici investiti per avviare le solite opere che poi marciscono nel dimenticatoio. Forse con la connivenza di qualche amministratore, forse per lotte intestine volte al predominio spartitorio, che non trovano mediazione.
Nel 2008, ribadiamo, si proclamava che la zona e la struttura dovevano essere adibite a progetti di ristrutturazione e riqualificazione per diventare sede di svolgimento di master post-universitari, di ricerche nel settore socio-sanitario o scientifico e tecnico o eventi coerenti di aggregazione anche e soprattutto allo scopo di contribuire alla rivitalizzazione del centro storico cittadino.
Al momento tutto tace, nel silenzio, nel degrado.
Uno di quei posti sistemati dai Cappuccini nel '600 in cima ad un colle importante, a dominare la città, poi adibito a ricovero per anziani indigenti.
Tre anni fa avevano presentato in pompa magna un progetto di riqualificazione dell'ex convento dei Cappuccini, poi ricovero Umberto I, sito nei pressi del Castello Svevo, dal 1880 destinato ad accogliere anziani. Anziani che sul finire degli anni '80 in molti si ricordano essere rimasti in pochi e trattati malissimo. Dalla Provincia di Cosenza, i nostri amministratori, proclamarono nel 2008 di voler destinare a master post-universitari il complesso.
La struttura vive oggi nel degrado più totale, tra siringhe, erbacce e rifiuti, mentre in alcune notti dell'anno gode visite di alcune persone dedite a non ben specificate celebrazioni.
Abbiamo chiesto pubblicamente che Comune e Provincia mandino a dare un'occhiata, almeno per recintare bene l'area ed il complesso. Che riprovino con serietà e fuori dalle parate pubblicitarie a rilanciare la zona.
Ad avviso del nostro movimento civico l'area deve essere ricondotta ad un utilizzo sociale e di solidarietà, evitando ulteriori proclami ed ulteriori spese per avviamento di lavori mai completati. E' un complesso storico, che gode di una posizione e di un panorama meravigliosi, ideale per diversi tipi di attività, pubblica o privata.
Si è trattato, fino ad oggi, di soldi pubblici investiti per avviare le solite opere che poi marciscono nel dimenticatoio. Forse con la connivenza di qualche amministratore, forse per lotte intestine volte al predominio spartitorio, che non trovano mediazione.
Nel 2008, ribadiamo, si proclamava che la zona e la struttura dovevano essere adibite a progetti di ristrutturazione e riqualificazione per diventare sede di svolgimento di master post-universitari, di ricerche nel settore socio-sanitario o scientifico e tecnico o eventi coerenti di aggregazione anche e soprattutto allo scopo di contribuire alla rivitalizzazione del centro storico cittadino.
Al momento tutto tace, nel silenzio, nel degrado.
lunedì 7 febbraio 2011
Prima conferenza stampa - sabato 5 febbraio
Ci siamo ritrovati, con i primi fondatori del movimento, al Caffè Renzelli di Piazza dei Bruzi (di fianco il Palazzo di Città), per presentarci alla stampa locale. Alla presenza di Simona, Vittoria, Emma, Beatrice, Roberta, Alfonsina, Andrea, sono intervenuti Michele, Francesca e Matteo, sulle nostre proposte principali e sul modo in cui vorremmo si facesse la politica, quella vera, del futuro nella nostra città. Università, poli culturali, valorizzazione delle eccellenze e recupero della parte antica della città.
Ci siamo dati appuntamento per gli ultimi giorni di febbraio, per dichiarare ufficialmente quale sindaco e quale coalizione appoggeremo.
Ci siamo dati appuntamento per gli ultimi giorni di febbraio, per dichiarare ufficialmente quale sindaco e quale coalizione appoggeremo.
venerdì 4 febbraio 2011
E' tempo di scelte oculate per la nostra città. Noi ci saremo
Siamo in movimento. E lo siamo tenendoci ben saldi ad alcuni riferimenti programmatici ed operativi per il rilancio e la riqualificazione della città di Cosenza.
LA SCELTA DEL SINDACO: Convergeremo e ci stringeremo intorno a quel candidato che dimostrerà passione per Cosenza, lontananza da affari privati e commistioni con quei settori grigi che canalizzano risorse pubbliche verso attività privatistiche fino ad oggi predatorie.
Saremo insieme e contribuiremo alla vittoria elettorale di quel sindaco che saprà discutere con noi, dimostrare lealtà e riconoscimento verso il nostro impegno.
IL RIGORE NELLA GESTIONE DELLE RISORSE PUBBLICHE: Chiediamo, e pretenderemo prima e dopo le prossime elezioni comunali, la massima trasparenza ed il massimo coinvolgimento delle forze sane e produttive della città in ogni settore che dovessere impegnare il danaro pubblico. I servizi, l'edilizia, i contributi sociali, il recupero del centro storico. Insisteremo sulla piu' ampia comprensibilità e chiarezza dei movimenti di bilancio comunale.
L'APPROVAZIONE DI UN PIANO DI RECUPERO DELLA PARTE STORICA DI COSENZA: Punto per noi fondamentale, che non va giocato come una cartolina o come uno spot di facciata, mentre poi si canalizzano gli investimenti privati e le colate di cemento nei buchi del centro moderno di Cosenza. Un piano di recupero deve essere predisposto all'indomani del voto, approvato con il massimo coinvolgimento degli ordini professionali interessati, delle associazioni e dei privati, deve consentire la strutturazione e la programmazione di interventi concreti.
IL RIGORE MORALE E LA LIBERTA' DEI COMPONENTI DELLA GIUNTA E DEL CONSIGLIO:
E' tempo di tagli e di riduzione delle risorse dei Comuni. L'ombra di un federalismo pasticciato e non ben studiato getterà caos nei tributi locali, confusione per gli imprenditori ed i gestori dei servizi pubblici locali. Non possiamo pensare che si vada a ricoprire un ruolo determinante senza la giusta attrezzatura culturale e morale. Non possiamo mantenere fannulloni e mangiasoldi nei consessi democratici cittadini.
I COMITATI DI QUARTIERE: Pretenderemo che venga rilanciata la partecipazione dei quartieri alle scelte comunali. Studieremo e sottoporremo al consiglio comunale una modifica dello Statuto per riconoscere ufficialmente i comitati di quartiere. Piccoli consessi che dovranno comprendere esponenti delle associazioni, delle parrocchie, delle zone piu' abitate e con maggiori disagi.
LA TUTELA ED IL RILANCIO DELLE ISTITUZIONI CULTURALI
Teatri, monumenti, biblioteche: saranno il fiore all'occhiello della nostra comunità. Saranno punti di eccellenza e di incontro, di stimolo, di elaborazione. Su questo aspetto vogliamo attivare un serio percorso progettuale con il mondo artistico giovanile e con i giovani ricercatori, che potranno dare un contributo ricchissimo alla nostra città.
LA SCELTA DEL SINDACO: Convergeremo e ci stringeremo intorno a quel candidato che dimostrerà passione per Cosenza, lontananza da affari privati e commistioni con quei settori grigi che canalizzano risorse pubbliche verso attività privatistiche fino ad oggi predatorie.
Saremo insieme e contribuiremo alla vittoria elettorale di quel sindaco che saprà discutere con noi, dimostrare lealtà e riconoscimento verso il nostro impegno.
IL RIGORE NELLA GESTIONE DELLE RISORSE PUBBLICHE: Chiediamo, e pretenderemo prima e dopo le prossime elezioni comunali, la massima trasparenza ed il massimo coinvolgimento delle forze sane e produttive della città in ogni settore che dovessere impegnare il danaro pubblico. I servizi, l'edilizia, i contributi sociali, il recupero del centro storico. Insisteremo sulla piu' ampia comprensibilità e chiarezza dei movimenti di bilancio comunale.
L'APPROVAZIONE DI UN PIANO DI RECUPERO DELLA PARTE STORICA DI COSENZA: Punto per noi fondamentale, che non va giocato come una cartolina o come uno spot di facciata, mentre poi si canalizzano gli investimenti privati e le colate di cemento nei buchi del centro moderno di Cosenza. Un piano di recupero deve essere predisposto all'indomani del voto, approvato con il massimo coinvolgimento degli ordini professionali interessati, delle associazioni e dei privati, deve consentire la strutturazione e la programmazione di interventi concreti.
IL RIGORE MORALE E LA LIBERTA' DEI COMPONENTI DELLA GIUNTA E DEL CONSIGLIO:
E' tempo di tagli e di riduzione delle risorse dei Comuni. L'ombra di un federalismo pasticciato e non ben studiato getterà caos nei tributi locali, confusione per gli imprenditori ed i gestori dei servizi pubblici locali. Non possiamo pensare che si vada a ricoprire un ruolo determinante senza la giusta attrezzatura culturale e morale. Non possiamo mantenere fannulloni e mangiasoldi nei consessi democratici cittadini.
I COMITATI DI QUARTIERE: Pretenderemo che venga rilanciata la partecipazione dei quartieri alle scelte comunali. Studieremo e sottoporremo al consiglio comunale una modifica dello Statuto per riconoscere ufficialmente i comitati di quartiere. Piccoli consessi che dovranno comprendere esponenti delle associazioni, delle parrocchie, delle zone piu' abitate e con maggiori disagi.
LA TUTELA ED IL RILANCIO DELLE ISTITUZIONI CULTURALI
Teatri, monumenti, biblioteche: saranno il fiore all'occhiello della nostra comunità. Saranno punti di eccellenza e di incontro, di stimolo, di elaborazione. Su questo aspetto vogliamo attivare un serio percorso progettuale con il mondo artistico giovanile e con i giovani ricercatori, che potranno dare un contributo ricchissimo alla nostra città.
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